L’arte del gatto meraviglioso e il maestro di scherma!
Oggi ti voglio parlare di una storia, “l’arte del gatto meraviglioso e il maestro di scherma!”
Voglio che conosci questa storia, anche se non ha qualcosa di tecnico per il combattimento o la difesa personale in realtà ti insegna moltissimo.
Spero che sentirai l’importanza nel tuo percorso di fighter di comprendere qualcosa che va oltre la tua fisicità e la tua tecnica perchè l’arte di combattere è uno stile di vita, è nella tua quotidianità.
Che tu pratichi sport da combattimento, difesa personale o un’arte marziale questa storia ha un messaggio importante per te!
L’arte del gatto meraviglioso e il maestro di scherma
C’era una volta un maestro di scherma chiamato Shoken.
Nella sua casa, un grosso ratto causava disordine.
Correva dappertutto perfino in pieno giorno.
Un giorno, il padrone di casa lo rinchiuse in camera sua e disse al gatto domestico di prenderlo.
Ma il ratto saltò alla gola del gatto e lo morse in modo così crudele che questo scappò via miagolando molto forte.
In seguito Shoken fece venire diversi gatti dei paraggi, rinomati per il loro grande valore e li fece entrare nella camera.
Il ratto era seduto, rannicchiato su di sé in un angolo e, non appena uno dei gatti gli si avvicinava, gli saltava addosso, lo mordeva e lo metteva in fuga.
Il ratto aveva un’aria tanto feroce che nessuno dei gatti osava avvicinarlo una seconda volta.
Allora il padrone di casa andò su tutte le furie e diede lui stesso la caccia al ratto per ucciderlo.
Ma quest’ultimo evitava tutti i colpi del sapiente maestro di scherma che finì per rompere porte, shoji, karami e altri oggetti, mentre il ratto fendeva l’aria, rapido come il fulmine, schivando ogni suo movimento.
E per finire, balzandogli sul volto, lo morse.
Alla fine, grondante di sudore, Shoken chiamò il suo servitore:
«Sembrerebbe» egli disse «che a sei o sette cho di distanza, viva il gatto più valoroso che esista al mondo. Va e portalo qui».
Il servitore portò il gatto.
Di fatto si trattava di una gatta che non sembrava poi molto diversa dagli altri mici.
Non aveva l’aria particolarmente intelligente né particolarmente pericolosa.
Di primo acchito, non ispirò una particolare fiducia nemmeno al maestro di scherma.
Ciò non di meno egli le aprì la porta e la fece entrare.
Calma e silenziosa, come se non si attendesse alcunché di singolare, la gatta avanzò nella stanza.
Il ratto ebbe un soprassalto e non si mosse più.
La gatta, con semplicità, si avvicinò lentamente a lui, lo prese con la bocca e lo portò fuori.
Quella sera i gatti sconfitti si riunirono nella casa di Shoken.
Rispettosamente, offrirono alla vecchia gatta il posto d’onore, si inginocchiarono di fronte a lei e dissero con modestia:
«Tutti noi abbiamo la reputazione di essere intrepidi e valorosi. Ci siamo allenati in questa via e ci siamo affilati gli artigli al fine di sconfiggere qualunque ratto, e perfino le lontre e le donnole. Mai però, avremmo potuto credere che potesse esistere un ratto così forte. Quale arte ti ha permesso di sconfiggerlo con tanta facilità? Non mantenere il segreto, diccelo».
Allora, la vecchia gatta rise e disse:
«Voi altri giovani gatti, tutti piuttosto valorosi, ignorate la vera Via. E’ così che non avete successo quando vi trovate di fronte a qualcosa di cui non avete alcuna idea. Ma per prima cosa, ditemi come vi siete allenati?».
Un gatto nero si avvicinò e disse:
«Discendo da una progenie celebre per la cattura di ratti. Così, decisi di continuare in questa via. So saltare paraventi alti due metri. Mi so infilare in un buco minuscolo dove solo un ratto può infilarsi. Da piccolo, mi sono esercitato in tutte le arti acrobatiche. Quando vedo un ratto correre su una trave, anche se sono appena uscito dal sonno e non pienamente in me, non appena ritrovo la lucidità di spirito, con un solo balzo lo catturo. Ma questo ratto era il più forte che avessi mai incontrato e ho subito la più spaventosa disfatta della mia vita. Ne provo vergogna».
Allora, la vecchia gatta disse:
«Ciò in cui ti sei esercitato è soltanto una tecnica (shosa, un’arte puramente fisica). Quando gli antichi insegnarono la tecnica, per loro essa era una delle forme della Via (michisuji). La loro tecnica era semplice ma racchiudeva in seno la più alta saggezza. Il mondo di oggi si occupa unicamente della tecnica. Certo, molte cose furono inventate secondo la ricetta: «A condizione di fare questo o quello, si ottiene questo o quello». Ma cosa otteniamo? Solo abilità. Abbandonando la via tradizionale, si instaura, utilizzando l’intelligenza fino ad abusarne, la competizione nella tecnica e a quel punto non si avanza più. E’ sempre così, se non si pensa a nient’altro che alla tecnica e se non ci si serve che della propria intelligenza. Essa è sicuramente una funzione dello spirito, ma se non prende radice nella Via e se mira esclusivamente all’abilità, essa diventa il germe del falso e il risultato è nefasto. Dunque raccogliti in te stesso ed esercitati d’ora in poi nel senso giusto».
Si avvicinò, a sua volta, un grosso gatto dal pelo tigrato che disse:
«Penso che nell’arte cavalleresca conti soltanto lo spirito. Così, da sempre, mi sono esercitato per rafforzare il potere del ki. Mi sembra che ora, il mio spirito sia duro come l’acciaio e libero; colmo dello spirito (ki) che riempie terra e cielo. Appena percepito il nemico, già questo ki potente lo affascina e cattura e in anticipo la vittoria è mia. Solo allora mi avvicino, senza riflettere, proprio come richiede la situazione. Mi oriento secondo il «suono» del mio avversario. Incanto il ratto secondo la mia volontà, a destra, a sinistra, comprendo e controllo tutti i suoi movimenti. Ho cura della tecnica in quanto tale. Essa si fa da sé. Un ratto corre su una trave: lo fisso… e già cade, è mio. Ma qui, questo ratto misterioso arriva senza forma e se ne va senza traccia. Cos’è? Io l’ignoro».
Allora, la vecchia gatta disse:
«Ciò per cui ti sei dato tanta pena, non è che una forza psichica e non ne scaturisce del bene che meriti il nome di bene. Il solo fatto di essere conscio del potere di cui ti vuoi servire per vincere, basta per agire contro la tua vittoria. Il tuo io entra in gioco. Ma se l’io dell’altro è più forte del tuo, cosa succederà? Se vuoi sconfiggere il nemico soltanto grazie alla tua forza superiore, egli ti oppone la sua. Immagini forse che solo tu sia forte, e credi che tutti gli altri siano deboli? Ma come comportarsi se esiste qualcosa che non si può sconfiggere, anche con la migliore volontà, con la propria forza pur superiore? Ecco la domanda. La forza spirituale che tu senti in te «dura come l’acciaio, libera e che riempie terra e cielo», non è la grande Potenza (Ki-no-sho) in sé, ma solo il suo riflesso. E così il tuo spirito è solo l’ombra del grande Spirito. Sembra essere la vasta Potenza, ma in realtà è tutt’altro. Lo Spirito di cui parla Mencio è forte perché è illuminato costantemente da una grande chiaroveggenza. Il tuo spirito, invece, dispone della propria potenza solo in determinate condizioni. La tua forza e quella di cui parla Mencio hanno una diversa origine e anche il loro effetto è differente. Esse sono opposte quanto lo sono la corrente eterna dello Yang-tse-Kiang e un improvviso maremoto notturno. Ma di quale spirito bisogna far prova quando ci si trova in presenza di ciò che non può essere vinto da alcuna forza spirituale contingente (kisei)? Un proverbio dice: «Un ratto in trappola morde anche il gatto». Il nemico di fronte alla morte non dipende da nulla. Egli dimentica la propria vita, dimentica ogni bisogno, dimentica se stesso, è libero di vincere e di fallire. Non mira più a preservare la propria esistenza. E’ così che la propria volontà è come l’acciaio. Come vincerlo con una forza spirituale che ci si conferisce da sé?».
Allora un gatto grigio, più anziano, fece un inchino e disse:
«Sì, in verità è come dici tu. Per quanto grande possa essere la potenza psichica, essa contiene in sé una forma (katachi). Ma tutto ciò che ha una forma, per sottile che essa sia, può essere afferrato. Per questo, da molto tempo, ho allenato la mia anima (kokoro: la potenza del cuore). Non sono io che esercito questa potenza che atterrisce l’altro spiritual- mente (il «sé», come il secondo gatto). E nemmeno mi batto (come il primo gatto). Mi «concilio» con colui che ho di fronte, io e lui non siamo che uno e non mi oppongo in alcun modo. Quando l’altro è più forte di me cedo e mi abbandono, per così dire, alla sua sua volontà. In un certo senso, la mia arte consiste nell’utilizzare una rete morbida per impadronirmi di un sasso che è stato scagliato. Il ratto che vuole attaccarmi, per forte che esso sia, non trova niente su cui appoggiarsi, niente da cui prendere slancio. Eppure, questo ratto non è stato al gioco. E’ arrivato, è partito, inafferrabile come una divinità. Non ho mai visto niente di simile».
Allora la vecchia gatta rispose:
«Ciò che tu chiami conciliazione non scaturisce dall’Essere, dalla grande Natura. E’ una conciliazione voluta, artificiale, un’astuzia. Coscientemente, tu vuoi sfuggire così alla aggressività del nemico. Ma se il tuo pensiero va a questo, seppur per un istante, egli si accorge della tua intenzione. Ebbene, se avendo tale inclinazione ti mostri conciliante, il tuo spirito pronto all’attacco si altera; la tua percezione e la tua azione sono agitate alla radice. Tutto ciò che intraprendi con un’intenzione conscia ostacola la vibrazione originale della grande Natura, impedisce lo sgorgare della sorgente segreta e perturba il flusso del suo movimento spontaneo. Da dove potrebbe venire quindi l’efficacia miracolosa?
E’ soltanto non pensando a niente, non volendo niente e non facendo niente, ma abbandonandoti nel tuo movimento alla vibrazione dell’Essere, che non avrai una forma che possa essere afferrata. Niente di ciò che esiste in terra può ergersi come anti-forma. E così non c’è più nemico che possa resistere.
Non sono affatto dell’avviso che tutto ciò che vi siete sforzati di acquisire sia senza valore. Tutto e qualunque cosa può essere un modo di seguire la Via. Tecnica e Via possono essere identiche. In questo caso, il grande Spirito, «l’agente», è integrato in essa e si manifesta nell’azione del corpo. La forza del grande Spirito (ki) è al servizio della persona umana (ishi). Se il Ki di qualcuno è libero, egli sa affrontare ogni cosa, nella maniera giusta, nella sua infinita libertà. Nel combattimento, senza servirsi di una forza particolare, il suo spirito, in stato di conciliazione, non cederà né all’oro né alla pietra. Importa una sola cosa: che non entri in gioco il minimo sospetto di coscienza di sé, altrimenti tutto è perduto. Se si pensa allo scopo, anche in modo fuggevole, tutto diventa artificiale. Ciò non proviene dall’Essere, dalla vibrazione originale della via-corpo (do-tai). In questo caso, il nemico non sarà alla vostra mercé, ma vi resisterà.
Che metodo, che arte, si deve utilizzare? Soltanto se sei nella condizione di essere libero da ogni coscienza dell’io (mu-shin), soltanto se agisci «senza agire», senza intenzione e senza astuzia – in armonia con la grande Natura – allora, e solo allora, sei sulla vera Via. Abbandona ogni intenzione, allenati alla non-intenzione e lascia fare l’Essere. Questa Via è senza fine e inesauribile».
Poi, la vecchia gatta aggiunse ancora qualcosa di stupefacente: «Voi non dovete credere che quello di cui vi ho appena parlato sia quanto di più elevato si possa trovare. Non molto tempo fa, in un villaggio vicino al mio, viveva un gatto. Dormiva durante tutta la giornata. Niente in lui lasciava intuire un qualcosa che assomigliasse a una forza spirituale. Stava lì, disteso come un pezzo di legno. Nessuno lo aveva mai visto catturare un ratto. Ebbene, dove dormiva e viveva, così come nei dintorni, non c’erano ratti. Ovunque egli facesse la sua comparsa e si stendesse, non c’era più traccia di ratti. Un giorno andai a trovarlo e gli chiesi come andava interpretato questo fatto. Non ricevetti risposta alcuna. Tre volte ancora, posi la domanda. Egli tacque. Non perché non voleva rispondere, ma perché, con ogni evidenza, non sapeva cosa rispondere. Così compresi: «Colui che sa qualcosa, non sa di saperlo». Questo gatto si era dimenticato di sé e, allo stesso tempo, aveva dimenticato tutto quello che gli stava attorno: era diventato «niente» e aveva raggiunto il più alto grado della non-intenzionalità. E noi possiamo dire che avesse trovato la divina Via del cavaliere: vincere senza uccidere. Sono molto indietro rispetto a lui».
Shoken ascoltò tutte queste cose come in un sogno. Si avvicinò, salutò la vecchia gatta e disse: «Da molto tempo ormai mi alleno nell’arte della scherma, ma non ho ancora raggiunto la fine. Ho ascoltato le tue parole e credo di aver compreso il vero senso della mia via; ma ora, subito, ti prego: dimmi ancora qualcosa in più sul tuo segreto».
Allora la vecchia gatta disse: «Come può essere possibile una cosa del genere? Sono solo un animale e il ratto è il mio cibo; cosa so delle questioni umane? So solo questo: il senso dell’arte della scherma non è quello di vincere su un avversario. Meglio ancora, grazie a quest’arte si giunge, ad un dato momento, alla grande chiarezza del fondamento luminoso della morte e della vita (seishi wo akiraki ni suru). Un vero cavaliere, attraverso i suoi esercizi, deve consacrarsi all’allenamento spirituale nel senso di questa chiarezza. Ebbene, per farlo, deve prima di tutto esplorare la dottrina del fondamento dell’essere, della vita, della morte e dell’ordine della morte (shi no ri). Ma solo colui che è libero da tutto ciò che lo distrae dalla Via, libero soprattutto dal pensiero che lo limita e lo ferma, può raggiungere la grande chiarezza. Non alterato, lasciato a se stesso, liberato dall’io e da ogni altra cosa, l’Essere e il suo movimento (shinki) si manifesterà in completa libertà quando e dove ciò sarà necessario. Ma se il cuore è attaccato a qualcosa, seppur pochissimo, l’Essere è ostacolato e bloccato. Ebbene, se il cuore è divenuto «bloccato su di sé», esisterà ugualmente un io bloccato su di sé e qualcosa che ad esso si oppone. Così succede che due forze si oppongano e lottino per la loro esistenza. Ma in questo caso, le migliori funzioni dell’Essere, che sono all’altezza di ogni cambiamento, sono inibite. E se in quel momento sopravviene la morte, il senso di chiarezza proprio dell’Essere è perduto. Come potremmo, in queste condizioni, affrontare il nemico nel modo giusto e considerare tranquillamente la vittoria o la sconfitta? Anche se si ottenesse la vittoria, sarebbe solo una vittoria cieca che non ha nulla a che vedere con il senso dell’arte della vera scherma.
Essere liberi da ogni cosa non significa affatto il vuoto. L’Essere in quanto tale non ha una natura propria. E’ aldilà di tutte le forme. Inoltre, non accumula nessuna cosa in sé. Ciò significa che se mai cerchiamo di trattenere anche la cosa più piccola, la grande Forza vi si aggrappa e l’equilibrio originale delle forze è perduto. Per quanto poco l’Essere si trovi attaccato a qualcosa, non è più libero di muoversi e non sgorga né scaturisce più nella sua abbondanza piena ed intera. Se l’equilibrio che proviene dall’Essere è disturbato, la sua forza trabocca velocemente laddove, malgrado tutto, essa può scorrere, ma dove essa non può defluire, nulla è possibile.
Dunque ciò che viene chiamato libertà da ogni cosa non significa nient’altro che questo: se non si accumula niente, se non ci si appoggia su niente, se non si blocca niente, non c’è forte né contrafforte, né io né anti-io. E se qualcosa accade, la si incontra come inconsciamente ed essa non lascia traccia. In Eki (I King «Il libro dei mutamenti») è detto: “Senza pensare, senza agire, senza movimento, tutto è silenzioso: solo così si può esser testimoni dall’interno dell’Essere e della Legge delle cose, del tutto inconsciamente, ed infine divenire Uno con il Cielo e la Terra”.
Colui che esercita l’arte della scherma in questo modo e vive così è vicino alla verità della Via».
Shoken, avendo ascoltato queste cose, chiese: «Cosa significa che non c’è né io né anti-io, né soggetto né oggetto?».
La gatta rispose: «Poiché c’è un io, c’è anche un nemico. Se noi non ci manifestiamo come io, non ci saranno nemmeno avversari. Ciò che chiamiamo così è solo un nome diverso per indicare l’opposizione. Per tutto il tempo che le cose mantengono una forma, esse hanno sempre una contro-forma. Ogni volta che qualcosa si blocca, c’è una forma particolare. Se il mio essere non è concepito in quanto forma particolare, non esiste nemmeno la sua contro-forma. Dove non c’è opposizione, non c’è nemmeno qualcosa che possa essere contro. Questo significa: non c’è né io né anti-io; se ci si abbandona totalmente, se così si diventa liberi da ogni cosa, si è in armonia con l’Universo, Uno con ogni cosa, nella grande Solitudine. Anche se la forma del nemico si estingue, non ne prendiamo coscienza. Non che non ce ne si accorga, ma non ci si ferma lì; lo spirito si muove, continuamente libero da ogni fissazione e risponde semplicemente agendo liberamente dal fondo dell’Essere. Se lo spirito è libero da ogni occupazione, il mondo, così com’è, è interamente il nostro mondo e non forma che uno con noi. Lo si comprende allora aldilà del bene e del male, della simpatia e dell’antipatia. Nulla più ci disturba e da nessuna parte si è legati. Tutte le opposizioni, guadagno e perdita, bene e male, sofferenze e gioie, provengono da noi.
E’ per questo che in tutta l’estensione del Cielo e della Terra, niente merita altrettanto di essere conosciuto quanto il proprio essere. Un antico poeta disse:
“Un granello di polvere nel nostro occhio, e i tre mondi ci vanno ancora stretti. Se non teniamo più a nulla, anche il lettino più piccolo lo sentiamo spazioso”.
Questo vuol dire: se un granello di polvere penetra nell’occhio, questo non può più aprirsi, poiché una vista chiara non è possibile che a condizione che esso sia vuoto. Possa ciò servirci come parabola per l’Essere, che è luce illuminante e libera in sé di tutto ciò che è qualcosa.
Un altro poeta disse:
“Circondato da centomila nemici, sarò schiacciato in quanto forma. Ma l’Essere è, e mio rimane, per quanto forte possa essere l’avversario. Nessun nemico potrà mai penetrarlo”.
Confucio disse:
“Non si può rubare l’Essere, nemmeno quello di un uomo semplice”.
Ma se lo spirito diventa disordinato, l’Essere si rivolta contro di noi. E’ tutto quello che posso dirvi. Adesso raccoglietevi e cercate in voi stessi».
Un maestro può cercare solo di informare il proprio discepolo e di esporgli le proprie ragioni.
Ma solo io stesso sono in grado di riconoscere la verità e di integrarla.
Questo è ciò che si chiama l’integrazione di sé (jitoku). La trasmissione si fa da cuore a cuore (ishin denshin).
E’ una trasmissione che avviene oltre alla dottrina e all’erudizione (kyogai betsuden).
Questo non significa: contraddire il maestro.
Vuole semplicemente dire: anche un maestro non saprebbe trasmettere la verità.
Ciò non vale soltanto per lo Zen.
Partendo dagli esercizi spirituali degli antichi, passando attraverso la cultura dell’anima, fino alle belle arti, l’integrazione di sé è sempre il nodo centrale, e questo non è trasmissibile altro che da cuore a cuore.
Ogni «insegnamento» si limita ad indicare, a orientare verso ciò che si trova già dentro di sé senza che lo si sappia. Dunque non vi è segreto che il maestro possa «trasmettere» al proprio discepolo.
E’ facile insegnare. E’ facile ascoltare.
E’ difficile prendere coscienza di ciò che si ha dentro di sé; di trovarlo e di prenderne davvero possesso.
Questo viene chiamato: «Guardare nel proprio essere. Visione d’Essere (ken-sei, ken-sho).
Se questo ci accade, abbiamo il Satori: il grande Risveglio dal sogno, dalle illusioni.
Risvegliarsi, guardare nel proprio essere, comprendere la Verità di Sé: tutto questo è la stessa costa.
Estratto di un antico libro d’ispirazione taoista e zen consacrato alla scherma.
Scritto probabilmente da uno dei primi maestri della scuola giapponese Ittôryû, fondata nel XVII secolo.
La presente versione è stata riportata dal Giappone da K. von Dürckheim.
Esiste un’altra versione in «Zen and Japanese Culture», London, 1960, di D.T. Suzuki.)
Anche questo serve nella via delle arti marziali e della difesa personale.
L’arte del gatto meraviglioso e il maestro di scherma!
Street Fight Mentality
Andrea
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