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La respirazione tattica e la difesa personale

La respirazione tattica e la difesa personale Fighting Tips - Street Fight Mentality & Fight Sport

La respirazione tattica è una tecnica molto semplice che devi imparare a fare perchè ti può aiutare in diversi contesti e può essere usata in una situazione stressante per rallentare il battito cardiaco, ridurre il tremore delle mani, mantenere un tono di voce profondo in modo da non parlare con una voce stridula che denota timore nella comunicazioni e per sentirti pervaso o pervasa da un senso di calma e autocontrollo.

Si tratta di un metodo che aiuta a tenere sotto controllo il sistema nervoso simpatico dopo un episodio di forte stress oltre al fatto che questa tecnica di respirazione è molto efficace per separare i ricordi dalle emozioni riusciendo a elaborare in maniera più razionale l’accaduto.

Iniziamo a capire come funziona:

Se analizziamo le relazioni tra il corpo e la mente possiamo considerare il corpo diviso in due sezioni, una controllata dal sistema nervoso volontario, l’altra dal sistema nervoso autonomo.

  • Il sistema nervoso somatico è coinvolto nelle attività volontarie e coscienti (muovere un braccio o dare un calcio).
  • Il sistema nervoso autonomo è coinvolto nelle attività che non dipendono dal controllo cosciente (come il battito cardiaco e la respirazione).

Ora a parte le parole, il modo migliore per capirlo meglio è che tu provi a fare questo e in un istante capirai la differenza tra i due sistemi nervosi:

Esercizio 1 – Metti alla prova il to sistema nervoso somatico, alza il braccio destro, o ra abbassalo. Bravo hai appena dimostrato che puoi controllare il sistema nervoso somatico.

Esercizio 2 – Mettiamo alla prova il tuo sistema nervoso autonomo. Al mio “via” alza il tuo battito cardiaco a 200 bpm, comincia a sudare e, se ce la fai, manifestiate anche una leggera diarrea da stress. Sei Pronto? Via. Che succede? Non riesci? Tranquillo è una cosa normale  perché non puoi controllare consciamente queste azioni, nemmeno se vuoi. Si chiama sistema nervoso autonomo proprio perché queste attività sono del tutto involontarie.

Come ti ho detto ma sai da quando sei nato anche la respirazione (composta da due atti o fasi, inspirazione ed espirazione) è un atto automatico.

Se la respirazione fosse sottomessa al controllo cosciente, addormentandoti morireti ma prova a prendere un bel respiro profondo e poi espirare, lo puoi fare quindi nel respirare a differenza di altre azioni puoi spostare il controllo della respirazione dal sistema nervoso autonomo a quello somatico.

La respirazione e il battito delle palpebre sono le sole due attività del sistema nervoso autonomo che potete portare sotto il vostro controllo cosciente in qualsiasi momento.

La respirazione la puoi considerare come un ponte tra il sistema nervoso somatico e quello autonomo.

Immagina il tuo sistema nervoso autonomo come un grosso e complesso motore, che vibra e si muove ma dal quale sporge una sola leva di controllo.

La respirazione è questa leva, ed è l’unica che puoi raggiungere e afferrare.

Se controlli la respirazione, controlli l’intero sistema nervoso autonomo.

Il sistema nervoso autonomo è composto dal sistema simpatico e da quello parasimpatico e con appropriate tecniche di respirazione, puoi controllare le reazioni del sistema nervoso simpatico, legate alla paura e alla rabbia che se le pensi in ottica di difesa personale diventa qualcosa di estremamente importante perchè sono due componenti in caso di aggressione o di pericolo sempre presenti.

La rabbia e la paura sfrenate sono entrambe manifestazioni dell’attività del mesencefalo, la parte primitiva, animalesca e irrazionale del nostro cervello, quella che ci trasforma da persona sicura in un bambino che agitato che piange .

La respirazione tattica ci permette di mettere un guinzaglio al tuo cucciolo interiore.

Più pratichi questa tipologia di respirazione, più rapido diventa il suo effetto, grazie ai meccanismi del condizionamento operativo perchè anche in questo caso vale la stessa regola come per qualsiasi altro tipo di addestramento.

Più lo pratichi, più impari e rendi semplice questo gesto.

Oggi continuiamo a scoprire nuovi vantaggi e ambiti di applicazione della respirazione tattica, ma ad essere onesti non si tratta di una vera innovazione.

I praticanti di yoga, zen e arti marziali usano da secoli il controllo della respirazione e anche se le pratiche dello yoga, lo zen e delle arti marziali le danno anche una sorta di connotazione mistica, ma se togliamo la sfumatura di misticismo il nucleo resta un semplice procedimento per controllare volontariamente il sistema nervoso inconscio e metterlo al nostro servizio.

Anche il buon senso lo dice, pensa a quante frasi di uso quotidiano descrivono queste condizioni di forte stress:

  • “Non ci vedevo più dalla paura” o
  • “Me la facevo addosso”.
  • Non riuscivo a parlare
  • Ero bloccato dalla paura
  • Tremavo come una foglia

Sono tutti modi di dire usati comunemente e che esprimono con molta semplicità i fenomeni psico fisici di cui stiamo parlando.

Analogamente le tecniche di respirazione anche se non in forma tecnica vengono usate fin da quando eri bambino e ti sentivi dire, quando avevi paura o eri agitato quando i tuoi genitori ti dicevano “Fai un bel respiro”, intuendo già la soluzione, con a differenza che ora capirai di più su un tipo più specifico di respirazione, che prevede almeno 4 o 5 profondi cicli di respirazione addominale.

Il termine tecnico appropriato sarebbe “respirazione autogena”, ma nei reparti militari è ormai conosciuta comunemente come respirazione tattica o “respirazione da combattimento” e se molti ne hanno parlato si dice che Gary Klugiewicz sia il pioniere che ne ha diffuso i principi.

La respirazione tattica viene usata sempre più spesso dai reparti speciali, dagli agenti federali e persino dai chirurghi (per mantenere il controllo sulla motricità fine durante un intervento difficile e stressante), dagli sportivi prima di tirare un rigore, un tiro libero, un servizio nel tennis e gli studenti per superare l’ansia da esame.

Da più di 100 anni anche i tiratori scelti apprendono e applicano sistematicamente il controllo della respirazione.

Si racconta anche di persone che hanno usato la respirazione tattica per salvarsi durante un attacco di cuore e ferite gravi da incidente e che dopo quattro profonde respirazioni addominali sono riusciti ad abbassare la frequenza cardiaca.

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Racconta il colonnello Grossman:

Negli anni, molti agenti mi hanno contattato per raccontar mi come hanno usato la respirazione tattica per eseguire tiri disperati da cui dipendevano la vita o la morte di loro stessi o di qualche innocente, o come hanno insegnato ai loro figli a usarla quando sono feriti, ma il mio aneddoto preferito viene da uno dei miei studenti di liceo.

Gli avevo insegnato le tecniche di respirazione quando aveva partecipato a un mio corso di introduzione alla psicologia.

Un paio di anni dopo, questo studente e io ci incontrammo in un supermercato della mia città e mi disse: “Ehi, Colonnello Grossman, si ricorda quegli esercizi di respirazione che ci aveva insegnato? Quella roba funziona davvero!” Gli chiesi di spiegarmi cos’era successo.

“Ho avuto un incidente in macchina,” mi raccontò, “e la mia auto era capovolta ed io ero intrappolato all’interno con una gamba rotta. Ho cominciato ad andare in panico e all’improvviso mi sono ricordato dei suoi insegnamenti.”

(La nostra mente è fatta così: conserva sempre ciò di cui abbiamo bisogno, e a volte ce lo tira fuori senza preavviso.)

“Di colpo era come se lei fosse al mio fianco durante un esame aiutandomi a respirare nel modo giusto.

Ho iniziato a fare come ci aveva insegnato: inspirare col naso, trattenere il respiro, espirare e di nuovo trattenerci un attimo prima di riprendere.

Pensi un po’, ha proprio funzionato, mi sono calmato rapidamente.” Gli chiesi cosa fosse successo in seguito. “Cosa potevo fare? Ero incastrato nella mia auto.

Sono riuscito ad accendere la radio sulla mia stazione preferita e sono rimasto ad aspettare che qualcuno venisse ad aiutarmi.

Quando sono arrivati i soccorsi e mi hanno tirato fuori, mi hanno detto che probabilmente sarei morto se fossi caduto in preda al panico.”

 

Il grado con cui riesci a controllate la paura e la rabbia determina il tuo controllo sull’odio e la sofferenza e il tuo obiettivo è prevenire la paura, la rabbia, l’odio e la sofferenza.

“La paura conduce al lato oscuro della Forza. La paura porta alla rabbia, la rabbia porta all’odio, e l’odio porta con sé molta sofferenza”. (Maestro Yoda)

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Ora andiamo a vedere come eseguirla in pratica, perchè quello che conta a parte la teoria è che eseguire in pratica questa tipologia di respirazione.

La respirazione tattica in pratica

La respirazione più naturale per il tuo organismo è quella diaframmatica che è quella tipica dei bambini, che molti di noi perdono nel tempo crescendo iniziando a usare la respirazione toracica.

Innanzitutto è bene distinguere la respirazione toracica dalla respirazione diaframmatica ma ora non ti voglio spiegare i benefici della respirazione diaframmatica ma ti spiego come farla.

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Siediti in modo da avere la schiena dritta e poggiata allo schienale, appoggia una mano sulla pancia e fai una profonda inspirazione con il naso, evitando di gonfiare il petto, ma gonfiando la pancia.

La mano ti aiuta a “sentire” il movimento corretto. Immaginiamo di avere una cannuccia che gonfia la nostra pancia.

Ora espira con la bocca aperta fino a espellere totalmente l’aria dai polmoni, aiutandoti ritraendo all’indietro in più possibile la pancia e ricomincia.

Ora che hai capito come fare, come la devi applicare la respirazione diaframmatica alla respirazione tattica?.

Devi contare fino a quattro in una sequenza di inspirazioni ed espirazioni: serve ancora molta ricerca per stabilire esattamente la durata appropriata di ogni sequenza, ma questo conteggio empirico, molto semplicemente, funziona.

Nella pratica, potete adattare la tecnica alle vostre caratteristiche fisiologiche.

Potreste scoprire che per voi è meglio contare fino a tre o fino a cinque. Non importa: concentratevi sulla tecnica e mettetela a punto finché vi accorgete che ottenete il massimo effetto possibile.

All’inizo per fare pratica conta sino a quattro.

Comincia a inspirare con il naso contando lentamente fino a quattro, espandendo il vostro addome come se lo gonfiassi per farlo diventare tondo.

Trattieni il fiato contando fino a quattro e poi espira lentamente dalla bocca contando fino a quattro mentre senti il tuo addome che si sgonfia come un palloncino quando molli il dito che tiene la punto.

Trattieni il fiato contando ancora fino a quattro, poi ricomincia a respirare.

Non devi fare altro, una sequenza semplice ma efficace.

Ripeti il ciclo per almeno per 4-5 volte.

Potresti provare un leggero senso di ebbrezza o viceversa non notare nulla di diverso se eravate già rilassati ma ormai è risaputo che in una situazione di forte stress questo semplice esercizio può avere un impatto rivoluzionario.

Si tratta di imparare ad avere un controllo cosciente sulla parte inconscia del corpo.

Uso della respirazione tattica in azione sul campo

“La nostra unità è stata recentemente coinvolta in uno scontro a fuoco letale con un sospetto asserragliato in un edificio. Il sospetto era membro di una gang, ex detenuto, ricercato per omicidio, ed era rimasto intrappolato dopo aver fatto irruzione in un’abitazione privata mentre fuggiva dalla polizia.

Dopo l’incidente uno dei nostri tiratori ha fatto dei commenti che credo potrebbero interessarle.

L’agente era posizionato a una dozzina di metri dal sospetto quando gli ha sparato il colpo decisivo con la sua carabina M4.

L’area era buia e l’agente indossava una maschera antigas per via dei lacrimogeni precedentemente sparati nella struttura.

Durante la negoziazione, il sospetto aveva ripetutamente dichiarato che “sarebbe uscito sparando” e che i poliziotti avrebbero fatto bene a stare attenti perché “avrebbe spazzato via i primi che avesse visto” .

L’agente che lo ha abbattuto, in seguito, ha parlato del modo in cui si era preparato mentalmente pochi attimi prima che il sospetto uscisse di corsa.

Ha detto che in quel lasso di tempo ha ripensato ‘a quello che il Colonnello Grossman ci aveva insegnato su come prepararci a uno scontro letale’ e ha aggiunto di aver effettuato ‘quegli esercizi di respirazione che

Grossman ci ha illustrato e dimostrato’. L’agente ha specificato che le sue lezioni e la lettura del suo libro On Killing sono state determinanti per renderlo capace di reagire con efficacia in quel frangente.

Voglio ringraziarla per il suo prezioso contributo alla preparazione dei miei agenti, sia per fare ciò che è giusto, doveroso e necessario sul campo, sia per mantenere, successivamente, il loro equilibrio emotivo e benessere mentale.”

(un tenente SWAT, corrispondenza privata con l’autore)

 

La respirazione tattica può essere utilizzata prima, durante e dopo una situazione di combattimento.

Prima, può calmarvi rapidamente e predisporti a “funzionare” al meglio in un contesto ostile.

Supponiamo che siate membri di un team SWAT pronti a fare irruzione da una porta; nell’attesa il vostro battito cardiaco schizza in Condizione Rossa.

In questo stato, ogni stimolo, per quanto poco significante, potrebbe farvi saltare per aria e reagire in modo esagerato.

Negli istanti prima di entrare, sfruttate la respirazione tattica per riportare la vostra frequenza cardiaca verso il limite inferiore della Condizione Rossa o, meglio ancora, in Condizione Gialla.

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Molti agenti raccontano di aver commesso personalmente molti errori stupidi durante un inseguimento, e spesso nel nostro paese si sono verificati casi legali conseguenti a simili errori, al punto che in certe giurisdizioni si è arrivati a proibire agli agenti di gettarsi in un inseguimento.

Se il battito cardiaco di un guidatore accelera eccessivamente, si innesca la visione a tunnel e i processi di pensiero razionale si inceppano, si perde la percezione della profondità e della distanza, si deteriora il controllo motorio dei movimenti fini: non sono le premesse ideali per un inseguimento ad alta velocità.

Alcuni istruttori di corsi di guida sicura e procedure di emergenza riferiscono che, dopo aver introdotto nei loro programmi le tecniche di respirazione tattica, le performance dei partecipanti hanno superato ogni standard precedente.

Charles E. Humes ha introdotto un metodo di addestramento innovativo e interessantissimo, per cui gli agenti di polizia imparano automaticamente a respirare in modo appropriato, come riflesso condizionato, in risposta al suono della sirena.

Riuscite a capire se un agente è calmo dal tono della sua voce nelle comunicazioni radio.

Se è calmo, anche nel mezzo di un inseguimento a 200 all’ora di sospetti armati, la sua voce suonerà come quella degli astronauti dell’Apollo 13: “Houston, abbiamo un problema”.

Quei ragazzi erano nello spazio, al di fuori dell’orbita terrestre, quando videro una spia rossa che si metteva all’improvviso a lampeggiare e subito dopo udirono un forte scoppio.

Al che uno di loro, Jack Swigert, annunciò con calma alla radio: “Houston, abbiamo un problema”.

L’intero equipaggio mantenne la calma: per la maggior parte erano ex piloti militari o collaudatori esperti, e avevano imparato per esperienza che il modo migliore per salvarsi la pelle è mantenere la calma anche nelle situazioni di più grave pericolo.

Se un collaudatore perde la calma, facilmente ci lascia la pelle.

Lo stesso vale per un poliziotto, per qualsiasi guerriero, in un contesto di combattimento letale.

Se avete un ruolo di supervisione o comando, e state ascoltando le comunicazioni radio di un inseguimento ad alta velocità, fate attenzione alla voce di ogni agente: se è acuta, stridula, può essere il caso di ritirarlo dall’azione, perché chi perde il controllo motorio fine sulla propria voce probabilmente lo sta perdendo anche sulle mani.

Se invece la voce dell’agente è calma e controllata come quella di un astronauta, lasciatelo procedere.

 

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Debrifing

Il Debriefing è un intervento psicologico-clinico strutturato e di gruppo, condotto da uno psicologo esperto di situazioni di emergenza, che si tiene a seguito di un avvenimento potenzialmente traumatico, allo scopo di eliminare o alleviare le conseguenze emotive spesso generate da questo tipo di esperienze.

 

La tecnica classica

Il Debriefing “classico” (Mitchell, 1983), detto anche Critical Incident Stress Debriefing / Psychological Debriefing (CISD/PD) – a sua volta solo una delle parti del più ampio e complesso protocollo del Critical Incident Stress Management (CISM) – dovrebbe essere rivolto esclusivamente a gruppi relativamente omogenei di soccorritori (e quindi non di vittime), ed è composto da sette fasi distinte (fattore ritenuto da molti come aspetto di eccessiva rigidità funzionale del protocollo iniziale).

Normalmente viene svolto tra le 24 e le 96 ore che seguono l’avvenimento (ovvero quando l’esperienza si è potuta strutturare psicologicamente almeno un minimo, ma non si è comunque ancora “cristallizzata” del tutto nel vissuto delle persone coinvolte).

Esiste comunque in letteratura scientifica un ampio dibattito sul problema del “timing” migliore per l’intervento, tema tecnico assai delicato e controverso.

Il CISD permette, attraverso lo scambio strutturato e “significante” dell’esperienza gruppale, di ridurre le possibili conseguenze negative di un avvenimento traumatico a livello psichico, come per esempio l’insorgere della sindrome da stress post-traumatico (dall’inglese Post-Traumatic Stress Disorder) ed altre sindromi collegate.

Nel corso del lavoro di gruppo, attraverso le varie fasi, si affrontano progressivamente fatti, pensieri, emozioni e sintomi, al fine di proporre una prima rielaborazione e ristabilire una migliore comprensione dell’avvenimento, per permettere di reinserirlo nel corso della propria esistenza dandogli almeno un parziale significato, coerente e condiviso con gli altri membri del gruppo.

 

Le sette fasi “classiche” del protocollo di Mitchell sono:

  1. Introduzione (alla situazione ed al lavoro di gruppo)
  2. Discussione dei Fatti (ricostruzione degli eventi occorsi, attraverso le “narrazioni” e le prospettive multiple dei partecipanti)
  3. Discussione dei Pensieri/Cognizioni (che i partecipanti hanno avuto durante l’evento)
  4. Discussione delle Emozioni (condividendo quelle provate durante l’evento, e comprendendo così che è “legittimo e normale” sentirsi a disagio dopo un evento critico, e che anche altri colleghi possano aver avuto emozioni simili alle proprie)
  5. Discussione dei Sintomi (eventualmente provati nelle ore o nei giorni successivi all’evento critico)
  6. Fornire Informazioni (sulle reazioni post-traumatiche e su eventuali “punti di contatto” in caso di necessità personali future)
  7. Conclusione (che “chiude” l’esperienza, sfumando dopo – a volte – verso una chiusura anche informale – spesso bevendo e mangiando qualcosa insieme per rinsaldare i legami sociali di gruppo dopo l’evento critico e la “fatica emotiva” del Debriefing)

In alcuni approcci europei, si aggiunge tra la sesta e la settima fase una fase aggiuntiva, detta del “Rito” (di particolare valore simbolico).

Generalmente, il Debriefing è preceduto da un incontro di Defusing, soprattutto con gli specialisti dell’aiuto (infermieri, pompieri, soccorritori, etc.; se svolto al termine del servizio in cui si è verificato l’evento critico, il Defusing viene detto Demobilization).

Efficacia e criticità del Debriefing

Fin dalla sua proposta iniziale, il Debriefing ha conosciuto rapido sviluppo ed un notevole successo nell’ambito della psicologia dell’emergenza, arrivando ad esserne forse la tecnica operativa più conosciuta e diffusa.

Verso la metà degli anni ’90, il CISD era divenuto la tecnica standard per la gestione di eventi critici che coinvolgessero un gruppo più o meno strutturato di persone, e le ricerche sulla sua efficacia ed applicabilità divennero il mainstream della ricerca psicotraumatologica d’urgenza.

La maggior parte dei clinici lo riteneva un’importante tecnica di prevenzione dell’insorgenza di eventuali forme post-traumatiche nelle persone esposte ad incidenti critici.

A partire dai primi anni del nuovo secolo, con la pubblicazione di alcuni importanti articoli di review e meta-analisi della sua efficacia, iniziarono ad essere sollevati dubbi sull’efficacia della tecnica nell’ottenere tale risultato: in molti casi, infatti, il suo profilo di efficacia nella prevenzione del PTSD risultava scarso se non nullo, ed in letteratura iniziarono ad essere discussi gli occasionali effetti iatrogeni della procedura stessa.

Il bias prevalente nella ricerca precedente venne individuato proprio nell'”aspettativa magica” di molti clinici rispetto alla procedura del Debriefing, aspettativa legata ad un atteggiamento estremamente ottimistico rispetto alla tecnica stessa.

Effettivamente, ritenere che una singola sessione di elaborazione gruppale di un gravissimo incidente critico, della durata media di 90 minuti, possa annullare il rischio di sviluppare a mesi di distanza un disturbo post-traumatico in soggetti predisposti è indubbiamente molto ottimistico, ed in contrasto con i dati clinici psicotraumatologici, dati che sottolineano come, seppure il rischio di sviluppo di un PTSD sia comunque mediamente molto basso anche in coloro che presentano reazioni emotive patologiche nell’immediato post-evento, gli interventi clinico-preventivi efficaci non possano mai essere del tipo “one-shot” (occasionali), ma debbano essere al contrario molto più ampi e complessi (ad esempio, attraverso il ricorso ad una completa procedura CISM).

Dunque, l’obbiettivo dell’esecuzione del Debriefing (che dovrebbe essere solo una parte del CISM) nell’immediato post-evento non dovrebbe tanto essere quello dell’ipotetico tentativo di riduzione del rischio di sviluppo di future reazioni post-traumatiche strutturate, quanto un primo momento di elaborazione gruppale dei vissuti emotivi e degli “spazi di parola” dell’evento occorso; processo che, seppur non strettamente correlato con la prevenzione del PTSD, è ritenuto comunque spesso di buona utilità emotiva dai partecipanti.

I nuovi approcci al Debriefing: il “Process Debriefing” ed il “Debriefing di Val-de-Grace”

In anni recenti sono state proposte molte modifiche al protocollo originale di Mitchell, ritenuto troppo rigido e con fasi troppo nettamente distinte tra loro (mentre i processi psicologici sottostanti sono in realtà molto più “fluidi” e “continui”);

in particolare, ha avuto ampia diffusione il Process Debriefing di Atle Dyregrov, in cui vi è una minore rigidità funzionale del protocollo, ed una maggiore attenzione clinica ai processi psicologici sottostanti.

Nel Process Debriefing, le dinamiche interattive interne del gruppo non vengono ignorate (come può succedere nel modello originario), ma vengono al contrario considerate uno degli assetti principali di lavoro nel corso della seduta di Debriefing.

Anche la “Scuola di Val-de-Grace” (la psichiatria militare francese ad orientamento psicodinamico) ha proposto modifiche strutturali ed adattamenti clinici importanti dell’originario protocollo del 1983, proponendone un riorientamento su assetti più dinamici e processuali (e quindi meno cognitivi e procedurali), con una complessiva semplificazione delle sette fasi originarie.

Il focus di tutti questi tentativi di rinnovamento del protocollo originario va appunto nella direzione di sottolineare come sia la tecnica a doversi adattare alla realtà dei processi psicologici delle persone coinvolte (priorità dei processi psicologici), e non debba mai accadere il contrario (cosa invece frequente quando le sedute di Debriefing classico vengono rigidamente vincolate al rispetto delle fasi e dei tempi del protocollo originario: si verifica così una iatrogena priorità della procedura tecnica rispetto ai processi psicologici reali delle persone che ne dovrebbero usufruire).

 

La respirazione tattica può e deve essere usata dopo l’evento, specialmente durante i debriefing, per separare i ricordi dalle emozioni, come abbiamo visto in precedenza quando si rievoca l’azione.

 

Perchè ti dico questa cosa del debrifing? Per due ragioni fondamentali:

  1. Hai subito una aggressione ed elaborarla correttamente per non portarti degli strascichi psicologici che possono condizionare tutto il resto della tua vita
  2. In caso di denuncia e atti processuali non raccontare episodi in forma non corretta che possono compromettere l’esito del processo per via delle tue contraddizioni.

La peggiore reazione a un incidente critico è la paura del suo ricordo.

L’esempio di quel poliziotto dell’Arkansas che ebbe un potente contraccolpo del sistema nervoso simpatico all’udire il colpo di pistola dello starter di una gara di nuoto è un classico esempio, ma ci sono centinaia di migliaia di casi che non vengono mai esplicitati o raccontati.

La prima volta che il ricordo dell’evento ti assale all’improvviso, ne resti doppiamente spaventato perché non ti aspettavi che potesse accadere perchè ti aspetti di essere spaventato durante il combattimento o una aggressione, ma non a distanza di tempo, senza una ragione apparente.

Dopo la prima volta, vivete attanagliati dal timore che possa accadere di nuovo e la volta successiva potrebbe essere ancora peggio.

Si potrebbe creare un circolo vizioso che vi sprofonderebbe in una spirale di paura e stress.

Devi arrestare subito questo processo:

Usa la respirazione tattica per mettere il guinzaglio alle emozioni.

Prendi un respiro profondo.

Fallo ora mentre stai leggendo.

Vedi?

E’ qualcosa che puoi fare e hai il potere di farlo quando vuoi.

Se la paura e la rabbia prendono il sopravvento, è solo perché tu lo stai permettendo, non usando la respirazione tattica.

Alcuni sostengono che il PTSD (disturbo post-traumatico) è una malattia auto-inflitta, la ritengo una affermazione esagerata, ma è auto-inflitta per ignoranza, e tu ora non sei più ignoranti perchè conosci come fare la respirazione tattica.

Se non fai pace con la tua memoria, se non hai partecipato a un debriefing, se non hai separato i ricordi dalle emozioni, c’è l’eventualità che andiate in crisi anche al momento di testimoniare in un’aula di tribunale.

Magari ti sei sforzato o sforzata di fuggire dai ricordi, di rimuoverli, ma in aula di tribunale non puoi farlo e il risultato può essere nuovamente molto traumatico.

Un avvocato della parte avversa, ben pagato e preparato, saprà come pungolare il tuo inconscio, il tuo mesencefalo, per scatenarlo contro di voi e fargli prendere il controllo facendoti impallidire, balbettare, sudare, tremare e farà credere a tutti che sei bugiardo/a o quanto meno inaffidabile.

Immagina questo in una situazione di violenza sessuale, o aggressioni, che conseguenze può avere e purtropppo sono cose che accadono quando non ci sono delle prove schiaccianti.

E un malevolo avvocato durante un processo potrebbe metterti i bastoni tra le ruote sfruttando i tuoi punti deboli.

Il miglior consiglio che posso darti riguardo tale situazione è questo

 

“Prenditi il tuo tempo” Hai tutto il tempo del mondo, usalo.

È come affrontare una gara che richiede concentrazione o sta per iniziare un match.

Respira, calmati e, con lentezza e professionalità, spara dritto (in questo caso, la vostra risposta all’avvocato). Tu hai il controllo sul tuo corpo, e non il tuo corpo su di te.

Guida tu perchè “quell’avvocato” non fa nemmeno parte dell’equazione”.

Altre utili applicazioni della respirazione tattica

Ci sono molte altre circostanze in cui fa bene respirare in modo appropriato e a volte la respirazione tattica giova contro malanni fisici.

Ci sono persone che soffrono di emicrania che appena sentono l’approssimarsi di un attacco, praticano la respirazione tattica e il più delle volte lo blocca sul nascere.

Non è una soluzione assoluta, non può funzionare in ogni possibile circostanza, ma spesso aiuta.

Puoi utilizzare la respirazione tattica per aiutare altre persone in caso di bisogno.

Racconta ancora il colonnello Grossman:

L’ho sperimentato di persona con mia moglie, per la prima volta, grazie alla tecnica Lamaze [metodo di rilassamento pre-parto inventato dall’ostetrico francese F. Lamaze – NdT] e sono rimasto molto colpito dall’efficacia della combinazione di tecniche di visualizzazione, rilassamento e respirazione.

Da allora ho continuato ad applicare quei principi per tutta la vita. Una volta uno dei miei giovani soldati ebbe un incidente motociclistico e io lo raggiunsi poco dopo in ospedale.

Era bloccato, steso su un tavolo, in attesa della radiografia, e aveva forti dolori. Lo aiutai guidandolo in un’intera sequenza del procedimento Lamaze, con pieno successo.

Mi è successo anche con mio figlio, e spesso si possono aiutare straordinariamente i bambini feriti, facendoli respirare e calmarsi”.

Soldati, poliziotti ed educatori sono spesso i primi a intervenire sulla scena e a effettuare un debriefing informale con le persone coinvolte in un evento traumatico.

Immaginate di essere un poliziotto che arriva sulla scena di una rapina a un negozio il cui commesso è stato picchiato;

oppure un ufficiale che deve raccogliere il rapporto dopo un’azione dei suoi uomini;

oppure un educatore alle prese con un ragazzino che ha appena preso parte a una rissa.

In ciascuno di questi casi, l’operatore deve chiedere cosa sia successo, e ha l’obbligo morale e professionale di assicurarsi che la persona che effettua il resoconto mantenga la calma.

Una persona agitata e ansiosa fa fatica a rievocare correttamente i fatti e spesso perde frammenti importanti di informazione.

Non dovete trovarvi a intervistare il suo mesencefalo.

L’intervista deve essere il più possibile produttiva, ma non solo.

Aiutando la persona a calmarsi, non solo raccoglierete informazioni migliori e più complete, ma le eviterete il rischio di subire un trauma psicologico e cadere preda del PTSD.

Ricordatevi sempre che, nei casi estremi, le perdite di vite umane sono ancora più probabili dopo un evento traumatico che durante l’evento stesso.

Fin dall’inizio del colloquio cercate di calmare la persona.

Appoggiatele una mano rassicurante sulla spalla, parlate in modo pacato, chiedetele di fare un respiro profondo mentre voi contate fino a quattro, poi di tenere il respiro mentre contate di nuovo fino a quattro.

Fatela espirare mentre contate fino a quattro, e chiedetele di tenere di nuovo il respiro mentre effettuate un altro conteggio.

Se effettuata correttamente, questa intervista può essere un vero e proprio debriefing iniziale, che aiuta la persona a imboccare la via della guarigione e della serenità anziché quella della paura, dello stress e del PTSD.

 

Il 24 marzo 1998 sono entrato nella Westside Middle School di Jonesboro (Arkansas, USA) dopo che due ragazzini di 11 e 13 anni avevano ucciso 15 persone.

Ho offerto la mia collaborazione a Jack Bowers e Linda Graham, che dirigevano il team di gestione della crisi; Jack e Linda accettarono immediatamente: sono due tra le persone più competenti e appassionate che io abbia mai conosciuto, ed è stato per me un onore lavorare sotto la loro supervisione, insieme ad altri stupendi membri del team.

Quella notte stessa ho insegnato ai soccorritori i principi della respirazione tattica.

La mattina dopo ho condotto il debriefing iniziale per tutti gli insegnanti e li ho istruiti sul modo di proseguire con i loro successivi debriefing, includendovi le tecniche della respirazione tattica.

Più tardi, i sopravvissuti vennero divisi in piccoli gruppi e si iniziò a lavorare sulle loro esperienze.

Appena qualcuno mostrava segni di ansia, si usava la respirazione tattica.

Il giorno dopo, i soccorritori e gli insegnanti effettuarono i debriefing con i bambini, adottando le stesse regole e le stesse tecniche.

I risultati furono eccellenti. Naturalmente è impossibile misurare il successo in tali circostanze, ma ci furono immediate e osservabili reazioni positive dei partecipanti, e a distanza di tempo raccogliemmo una quantità di racconti e aneddoti che confermavano l’efficacia del metodo di respirazione“.

 

Non si sono verificati suicidi a seguito della strage di Jonesboro (a differenza, purtroppo, dei casi della strage scolastica di Littleton e dell’attentato esplosivo di Oklahoma City) e il team nazionale di esperti, diretto con grande competenza dal dott. Scott Poland, che giunse sul posto 36 ore dopo la sparatoria, dichiarò che le procedure applicate avrebbero appresentato da quel momento uno standard nazionale per la gestione delle crisi posttraumatiche.

Conclusioni

Chi pratica difesa personale, ciascuno di voi deve essere una roccia: fermo e calmo anche quando il mondo tutto intorno sta impazzendo perchè quando tutti perdono la testa, il tuo compito è mantenere la calma e trasmetterla agli altri.

Tutti devono potersi ancorare alla tua roccia e la respirazione tattica è un potente strumento a tuo favore.

Ogni atteggiamento è contagioso: il panico come la calma, devi essere un esempio e una guida per gli altri.

Respira!

Street Fight Mentality

Andrea

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  1. Ma espirando dalla bocca non si è obbligati ad “allentare” la mandibola ed i denti?

    Durante uno scontro non sarebbe meglio tenere i denti serrati ed espirare col naso (anche se questo genera una maggiore tensione nel diaframma) per limitare i danni in caso di colpi alla bocca?

    • Ciao Federico, non considerare la respirazione tattica solo dal punto di vista dello scontro fisico, ma è un metodo che puoi utilizzare in diversi contesti, anche in tutte le fasi che riguardano il pre conflitto.

      Durante uno scontro, non avendo il paradenti ci si espone a diversi rischi, e non si può usare lo stesso metodo di tenere i denti serrati come se si ha il paradenti, si respira sempre dal naso ma si deve “recuperare” un pò di labbra per preteggersi come se irrigidissi la mascella cosa che fai già quando “mordi” il paradenti serrando la bocca.

      Le labbra hanno anche quella funzione di proteggere i denti, ma considera che a mano nuda, tutto assume una dimensione differente, non ci sono protezioni, devi serrare la mascella ma non devi mettere a contatto le arcate dei denti i denti.

      Prova la sensazione con il paradenti e senza, lo senti già quando stai facendo bene e stai contraendo la zona per proteggerti.

      Devi tenere solo nella zona della bocca una certa rigidezza muscolare.

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Written by Andrea

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